Luisa Rota Sperti - Intervista

LUISA ROTA SPERTI

INTERVISTA

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Le montagne di sogno di Luisa Rota Sperti

Dal 10 febbraio al 29 marzo 2009 le sale del CAI Milano che affacciano sull'Ottagono della Galleria hanno ospitato una singolare mostra; una accurata selezione delle opere di Luisa Rota Sperti, artista che già su questa rivista (vedi GM 3/2008) è stata intervistata lungamente al FilmFestival di Trento di quell'anno.
L'occasione fu l'esposizione di alcune sue opere e taccuini di viaggio nei locali dell'auditorium di Santa Chiara, sancta sanctorum della rassegna. Già in quella penetrante intervista Giovanni Padovani ha colto la particolare sensibilità della Rota Sperti, il suo legame con la montagna che lei vede con occhi di contemplativa più che da alpinista e l'originalità della sua tecnica espressiva; i suoi mezzi infatti sono quasi sempre di estrema sobrietà: matita nera e carta bianca. Nera come la notte e bianca come il ghiaccio ama ripetere. Eppure, non le mancherebbe - come ella stessa dice - la capacità, frutto di lunghi studi, di confrontarsi con l'olio, l'acrilico, l'acquarello, l'acetato e le trasparenze. Non mi dilungherò quindi sulla personalità dell'autrice in questa che vuole essere una modesta impressione, sia pure meditata a seguito di numerose visite alla mostra e di lunghi colloqui con l'artista.
Il suo linguaggio è essenziale come tecnica e allo stesso tempo meticoloso come esecuzione; non c'è angolo della tavola candida che non sia ricoperto, che non abbia un significato. L'universo fantastico della Rota Sperti esercita una presa totale sullo spettatore. E dico spettatore - e non visitatore - perché i lavori esposti costituiscono come un susseguirsi di scene formanti una mirabolante rappresentazione che si svolge fra le pareti dei monti, serpeggia fra i larici, si slancia fra le nuvole, rivelando fra le sue pieghe volti umani, figure mitiche, gesti, allusioni che legano una tavola all'altra giustificando così anche una certa omogeneità, che però sfugge al rischio della ripetitività.
E così si capisce perché la Rota Sperti lavori per cicli, come già raccontò a Padovani, nell'intervista accennata. E - scegliendo la montagna come dominatrice quasi costante del suo universo artistico, del suo "mettere in scena" - rende visibile una verità che tutti gli alpinisti autentici istintivamente conoscono e che potremmo riassumere con due versi di un canto taoista riportato da Marie-Madeleine Davy * : io sono un abitante delle montagne/ che rallegra il proprio pensiero e nutre il proprio spirito. Le tavole della Rota Sperti si inseguono fra loro come scene di una rappresentazione, ma anche come un disegnato poema che sgorga da una intensa interpretazione del mondo alpino come sede della bellezza e del mistero, come alimento della mente e del cuore.
Luisa Rota Sperti abitante delle montagne effettivamente lo è: dopo aver vagabondato fino al Tibet si è stabilita ai piedi delle Grigne, nel borgo di Somana; lei lecchese di nascita ha sentito il richiamo dei luoghi dove è nato l'alpinismo lombardo, scegliendo una casa con orto da dove senza posa può volgere lo sguardo creativo alle rocce immobili ma sprigionanti storia e storie. Dicevo dei cicli: sono numerosissimi, pertanto mi limiterò a quelli presentati (in tutto o in parte) alla mostra milanese. Pino, la morte e il Pelmo esprime in undici tavole la favola di un bimbo magico che si aggira intorno al caregòn cercando goccia a goccia presso gli animali del bosco il latte che possa guarire il nonno ammalato. A questo punto occorre dire che la Rota Sperti lavora presso un centro psichiatrico specialistico dove pone il suo talento alla base di corsi per arte-terapia; e Pino è costruito su un paziente autistico.
Nel ciclo Dalle cattedrali della terra ai sentieri del cielo ogni tavola è dedicata ad una figura mitica dell'alpinismo classico: da Dino Buzzati che l'autrice dichiara suo principale ispiratore - ad Angelo Dibona, da Paul Preuss a Tita Piaz, accanto al quale non poteva mancare la fatale bicicletta. L'imponente ciclo Ai confini del cielo è in fase di elaborazione e dovrà raggiungere le settanta tavole: è ispirato alle leggende delle Dolomiti ed è un omaggio a Carlo Felice Wolff. Un ciclo in otto tavole - che l'artista preferisce chiamare polittico - è dedicato a Casimiro Ferrari, e rappresenta notissimi alpinisti che in qualche modo lo ebbero vicino, come Mauri, Bonatti, Cassin, Giuseppe "Det" Alippi.
Sul Det il discorso si ferma e si allarga, perché nell'immaginario dell'artista che lo conosce molto da vicino - gli Alippi per chi non lo sapesse sono una famiglia legatissima al Lecchese un clan che riempie le Grigne dice la mia interlocutrice** - egli incarna tout court la montagna, ne è il mago, il deus ex machina. Tanto che - in un ciclo di cinque tavole e qualche disegno - la Rota Sperti lo identifica con il Sasso Cavallo, una grandiosa parete di Grigna tanto isolata quanto temuta, a strapiombo sulla val Meria che domina Somana e il ramo manzoniano del Lario; e dalla cui contemplazione la nostra artista ha sentito nascere dentro di sé una fiaba: la Piccola leggenda di serpedrago e Sass Cavall.
A questo punto anche nel sottoscritto si risvegliano echi lontani: il Sasso Cavallo l'ho avuto sempre davanti agli occhi negli anni di sfollamento (1942-1945) quando vivevo in un paese sulla opposta riva del lago, e ha sempre provocato il mio stupore di bambino. Poi l'ho sfiorato non so quante volte nelle mie peregrinazioni in Grigna, ai suoi fianchi sono stato bombardato di pietre da un branco di capre mal nate, e non ritengo affatto inverosimile una leggenda su di esso.
Me la faccio raccontare. Non è una storia allegra; in breve, i due corvi che la sussurrano all'orecchio dell'artista mentre si aggira, armata dei suoi libretti d'appunti, sui sentieri fra i rifugi Elisa e Rosalba, hanno la voce di un scalatore precipitato dal Sasso. AI Sasso viene attribuita una fama sinistra (in effetti, sono una quindicina i suoi salitori che, dopo la "prima" di Cassin e Corti nel 1933, hanno perso prematuramente la vita o sono comunque periti in modo violento: fra i più noti, Pierlorenzo Acquistapace, Casimiro Ferrari e Lorenzo Mazzoleni). Nella sottostante val Meria si aggirerebbe poi un animale serpentiforme, il serpedrago appunto, che col suo fiato mortifero paralizza a 200 metri di distanza e depone le uova negli anfratti del Sasso. Ma il Sasso, eccessivamente chiodato dagli arrampicatori, si divincola per liberarsi dai ferri invasivi, e così frantuma le uova, provocando l'ira del serpedrago contro chi li ha infissi. Il liberatore sarà il Det, mago della chiodatura ma anche della schiodatura, che sconfiggerà il maleficio.
Ma Luisa Rota Sperti non vuole tenere solo per sé la sua arte e la sua passione per l'aspetto simbolico dei monti; le cinque tavole principali che illustrano la leggenda sono destinate a decorare altrettanti rifugi, i più significativi delle Grigne: Brioschi, Rosalba, Elisa, Bietti e Bogani. Li porterà personalmente sul posto: un dono che già l'artista ha offerto alla Val Fiorentina, nei cui rifugi compaiono le tavole di Pino, la Morte e il Pelmo.
Lasciando la mostra (si è visto un crescendo di visitatori), viene spontaneo pensare che Luisa Rota Sperti intenda restituire alla montagna almeno un po' di ciò che essa per divina, totale generosità ci offre. E questo è un esempio che dovrebbe far riflettere molti alpinisti.

*L'autore del canto è il poeta cinese Si k'ang (223-262 a. C.)
**Un originale profilo della personalità del Det, accompagnato da tavole di Luisa Rota Sperti, l'ha scritto Alberto Benini su Vertice annuario del CAI di Valmadrera - anno 2007

Intervista raccolta da Lorenzo Revojera