Ciottoli di Fiume

LUISA ROTA SPERTI

CIOTTOLI DI FIUME


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Ottobre 2013 in collaborazione con la Comunità di via Gaggio onlus (Lecco)

I ciottoli di fiume
Mentre osservavi un torrente di montagna hai mai pensato a uno dei suoi sassi? È “nato” due volte. La prima, per il processo geologico che ha portato alla formazione di un blocco roccioso. La seconda, quando dal blocco si è staccato un frammento, quel preciso frammento.
L’inizio di un viaggio, in qualche modo. Talvolta il motore che lo rende possibile è un ghiacciaio. Una grande massa apparentemente ferma, ma che invece è in continuo movimento verso il basso, per la forza di gravità, e che trasporta con sé quanto raccoglie lungo il suo percorso.
È così che un sasso può finire spinto e stritolato, spostato per chilometri. Un’azione che lo modifica: ne stacca schegge, lo rimodella, lo ripulisce, lo leviga, come del resto accade ogni qualvolta una pietra ne urta altre, scivola giù da un pendio, rotola, viene sepolta da uno smottamento e poi, per un altro scossone del terreno, torna in superficie.
Quando compie l’ultimo balzo finendo nel letto di quello che è o sarà un torrente di montagna, dunque, il sasso ha già una forma molto diversa da quella che aveva all’inizio del suo lungo percorso. Non ha ancora finito di cambiare, però, anzi non smetterà mai di farlo – in modo impercettibile, ma inesorabile – per l’instancabile lavoro dell’acqua.
La pietra ha lasciato alle spalle residui di sé, come hanno fatto tutte le altre. Sabbie di ogni tipo, risultato dell’abrasione di molti minerali diversi, si sono mescolate tra loro fino a diventare un solo impasto. Una forma di meticciato che è la memoria di un incontro e che unisce in un modo nuovo, originale.
Sta al suo posto nel torrente che non smette di spingere, il sasso. Una collocazione che a volte si rivela provvisoria, da lasciare all’improvviso sotto l’onda di una piena, di un cedimento della sponda dopo un temporale, talvolta – quando un sentiero o una baita non sono lontani – per il gioco di un bambino che vuole costruire una piccola diga. Imprevedibili e ancora una volta pilotate dal caso, tutte circostanze che conducono in un punto diverso del greto, accanto a rocce di altri colori, altre provenienze, altre storie e altra composizione geologica.
È lì che la pietra finisce di nuovo sommersa dall’acqua che va e va, senza sosta. È lì che riaffiora nel gioco della corrente, come se riprendesse fiato dopo un’apnea.
La sua "vita" è questa e non si scorge tutta: si intuisce appena, ha bisogno di occhi capaci di vedere. Somiglia alla nostra e, come la nostra, è portatrice di parole.
da Luce di Antonio e Giorgio Spreafico

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Luisa Rota Sperti

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